Claudio Descalzi dice al ‘Financial Times’ che odia il mainstream: nel mio piccolo sono completamente d’accordo con lui
Data:
26 Giugno 2025
Ho più volte sostenuto che alla radice di tutto ciò c’è un peccato culturale, una grave distorsione cognitiva dell’Europa, che continua a ritenersi al di sopra di tutto e di tutti. È la sindrome che più volte ho definito ‘del primo della classe’
In una recente, bella e coraggiosa intervista al ‘Financial Times’ Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’ENI, afferma di odiare il mainstream a proposito di decarbonizzazione e transizione energetica.
Ma cosa si intende in questo caso per mainstream?
Si tratta del pensiero conformista che ha imperversato in Europa negli ultimi anni. Più che una lotta concreta contro il cambiamento climatico, fatta di innovazione, tecnologia e tutela delle imprese, questo pensiero ha proposto uno schema ideologico, propagandistico, che non ha valutato le conseguenze economiche delle misure assunte e che, in definitiva, ha colpito l’industria europea facendole perdere competitività, fatturato, posti di lavoro.
“Odio il politicamente corretto, lo vedo come una costrizione, una barriera. È finto. Odio il mainstream. Dici quello che dicono tutti e se non lo fai non sei nel club giusto. Questo è un modo per restare fermi. Una scatola vuota, un concetto vuoto. Nella vita bisogna mettere tutto in discussione”. Io aggiungo che si tratta di una specie di pensiero totalitario imposto dall’alto che non analizza il rapporto costi/benefici e che grazie al bombardamento dei media condiziona le opinioni pubbliche.
Nel mio piccolo sono completamente d’accordo con Claudio Descalzi.
Come presidente di Federacciai e come delegato del Presidente di Confindustria Emanuele Orsini sui temi della competitività e dell’autonomia strategica europee, ho combattuto e sto combattendo da anni una battaglia per affermare principi razionali e di buon senso che non negano la necessità di decarbonizzare le nostre economie per aiutare la battaglia contro il cambiamento climatico, ma che contestano il pensiero unico del green deal con tutte le sue contraddizioni e forzature.
Ho più volte sostenuto che alla radice di tutto ciò c’è un peccato culturale, una grave distorsione cognitiva dell’Europa, che continua a ritenersi al di sopra di tutto e di tutti. È la sindrome che più volte ho definito ‘del primo della classe’.
Descalzi dice: “L’Europa pensa che il mondo sia come l’Europa, ma non è così perché il Vecchio Continente rappresenta solo il 5% della popolazione mondiale”. E io aggiungo: l’Europa è meno del 7% delle emissioni globali di CO2, che come è noto sono un problema globale, e in quanto tale non può essere risolto solo con politiche e vincoli europei, ma necessita di una strategia globale. E la strategia globale tarda a venire, perché i grandi Paesi come USA, Cina, India, Russia, Indonesia, Brasile ecc. si guardano bene dal seguire le indicazioni del “primo della classe”, impegnati come sono in una crescita gigantesca, e assetati di energia che spesso viene dal carbone e dagli idrocarburi.
L’enorme contraddizione è rappresentata dal fatto che l’industria europea, in particolare l’industria di base (acciaio, chimica, carta, vetro, cemento, fonderie ecc. ma non solo quella) rappresenta meno del 3,5% delle emissioni globali, le quali crescono invece in tutto il mondo del 3,5% all’anno. Se con un colpo di bacchetta magica tutte le industrie europee chiudessero, con le conseguenze economiche e sociali che ben possiamo immaginare, dal punto di vista delle emissioni globali di CO2 cambierebbe poco o nulla.
La Cina, che è leader in tutte le tecnologie della decarbonizzazione (pannelli solari, inverter, batterie, auto elettriche, litio ecc.) e nei confronti della quale si sono create nuove e pericolose dipendenze strategiche, e che ha investito molto anche in energie rinnovabili, l’anno scorso ha avviato quasi 100 nuove megacentrali elettriche a carbone, vanificando la gran parte dei benefici ottenuti con l’elettrificazione delle auto e con gli investimenti in rinnovabili.
Descalzi dice, e di nuovo sono d’accordo con lui, che se invece di affrontare con buon senso e razionalità il problema del cambiamento climatico, il primo se non l’unico obiettivo è trovare un nemico, allora non si va da nessuna parte.
È questo il tema della così detta “neutralità tecnologica” che significa, come avrebbe detto Deng Xiaoping, che non è importante che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda il topo. Ebbene per oltre dieci anni, gli ultimi dieci anni, l’Europa ha contrastato fortemente tutte le tecnologie di decarbonizzazione che non fossero l’elettrico, declinando un solo verbo: rinnovabili, rinnovabili, rinnovabili. L’energia elettrica va prodotta da queste fonti. Tutte le altre tecnologie capaci di ridurre le emissioni, dal nucleare, alla cattura delle CO2, ai biocombustibili, sono state contestate e contrastate dall’UE, che ha impedito anche l’accesso ai fondi per la ricerca su queste tecnologie. E ciò ha confermato l’estremismo ideologico dell’era Timmermans (che, comunque, era il vice della Von der Leyen).
I nemici sono stati troppe volte individuati nelle imprese di diversi settori che invece lavoravano sodo per superare la dipendenza dagli idrocarburi. In Italia non siamo da meno. E, di nuovo, qui siamo al paradosso.
Un’importante organizzazione ambientalista insieme ad un’importante università italiana ha detto che l’elettrosiderurgia italiana (che è campione del mondo nella produzione di acciaio decarbonizzato, e quindi verde, perché non esiste nessun paese al mondo che produce più dell’85% dell’acciaio all’anno con i forni elettrici) può e deve fare molto di più. È vero che si può sempre fare di più, ma giudizi del genere, sganciati da qualsivoglia benchmark internazionale, fanno ridere e ancora una volta spiegano perché Descalzi, ed io con lui, odia il mainstream.
L’Eni è leader mondiale nei biocarburanti, è leader mondiale nella tecnologia della cattura delle CO2, sta investendo da anni moltissimi fondi sulla tecnologia della fusione nucleare, ha in atto giganteschi processi di riconversione delle vecchie raffinerie con il mantenimento dei livelli occupazionali, sta investendo su tecnologie proprietarie capaci di mettere in condizione l’azienda di sganciarsi in prospettiva da petrolio e gas, e ciò nonostante viene spesso individuata come la vecchia impresa petrolifera e basta.
Come Neo, Trinity e Morpheus in ‘Matrix’, non bisogna arrendersi al mondo della decarbonizzazione ideologica e virtuale. Bisogna scegliere la pillola rossa, continuare ad avere coraggio e visione e stare fuori dal mainstream; ma come dice Claudio Descalzi, “possiamo rompere la superficie e crescere solo se abbiamo persone capaci di fare le cose in modo diverso”.
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Ultimo aggiornamento
26 Giugno 2025, 12:45